Una prestigiosa rivista italiana di Geopolitica, Limes, un paio di mesi fa ha dedicato un intero numero sulle prospettive future del belpaese. “Esiste ancora l’Italia? Dipende da noi” era il tema del mese.
Che il nostro Paese avesse dei problemi, non era sicuramente un mistero. Ma il fatto che oggi se ne possa rischiare l’esistenza stessa, non ci lascia ugualmente indifferenti. Con un po’ di presunzione, e senza essere uno scienziato, devo dire che nel mio piccolo me n’ero accorto anch’io. Nelle mie orecchie, come una maledizione, suona ridondante il disco di papà: “quando ero giovane si lavorava anche la domenica … si girava con dieci macchine … ”. Chi è del mestiere, sa di cosa parlo. Ma dove sbaglio, mi chiedo. Come mai facciamo una fatica incredibile a riempire un’aula di teoria o la scheda di un istruttore? Viviamo in un’epoca in eccesso di concorrenza?
No: bravi o meno che si possa essere nello svolgere questo mestiere, il problema principale da fronteggiare per i prossimi anni sarà la mancanza di “materia prima”.
L’autorevole rivista denuncia che a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, la fecondità italiana si è incredibilmente ridotta raggiungendo il picco minimo di 1,18 figli per donna negli anni Novanta. Ma che cosa significa? Molto semplice: se si calcola che ci vogliono due genitori per fare un figlio, si avranno 118 figli per 200 genitori. Ovvero che, stando così le cose, non si è nemmeno in grado di garantire la crescita zero (infatti solo 200 figli sostituirebbero 200 genitori). Questa situazione avrebbe portato a un declino della popolazione del 40% a ogni intervallo generazionale (circa ogni trent’anni).
Per fortuna il nuovo millennio ha portato con sé masse di immigrati stranieri che hanno contribuito a ridurre – ma non eliminare – questo pericolosissimo vuoto generazionale creatosi nel precedente ventennio.
Secondo fonti dell’ONU (World Population Prospects) l’Italia si trova oggi con la più bassa proporzione al mondo di popolazione con meno di 15 anni e con la più alta proporzione al mondo di popolazione con più di 60 anni. Il New York Times conferma che l’Europa non sta molto meglio. All’inizio degli anni Sessanta il continente aveva il 12,5% della popolazione mondiale, oggi il 7,2%. Se la tendenza attuale non sarà interrotta, nel 2050 solo il 5% degli abitanti del pianeta vivrà in Europa. Ma da che cosa deriva questa bassa natalità? Nel 2006 Benedetto XVI disse che «In Europa c’è una strana mancanza di voglia di futuro» e che «I figli, che sono il nostro futuro, vengono visti come una minaccia per il presente». Alcuni osservatori del Population Fund dell’ONU per le questioni demografiche hanno scoperto che in Europa in questi ultimi anni il fatto di non avere figli è tra le caratteristiche di uno stile di vita considerato ideale. L’Italia ha ottenuto due primati: il primo è che i giovani continuano a vivere in casa coi genitori più a lungo di ogni altro Paese; il secondo è costituito dalla percentuale, sempre più alta, di figli nati da genitori ultraquarantenni, che, cominciando tardi, difficilmente avranno un secondo o un terzo figlio. Possiamo aggiungere che il belpaese continua a trascurare i milioni di immigrati ormai stanziali, e più precisamente i loro figli, che saranno il motore del cambiamento del nostro Paese. Se non vogliamo commettere gli stessi errori dei nostri cugini transalpini dobbiamo investire nell’istruzione: forse il vero e unico antidoto all’emarginazione sociale. Affrontare l’inserimento delle seconde generazioni richiede un’enorme sforzo da parte dei sistemi di istruzione, la nostra categoria in primis. Se scardiniamo la diffidenza, si potrebbero aprire nuove porte anche per noi.
Ma vista la preoccupante tendenza, quali potrebbero essere le vie di uscita per la nostra categoria?
Se è vero che l’opulenta società avanza lentamente trascinata dai redditi prodotti dalle rendite e non dal lavoro, è altresì vero che questo benessere accumulato pian piano va erodendosi. È arrivato il momento di cambiare. Bisogna tornare a lavorare con lungimiranza, seguendo una direzione ben precisa e non solo perché dobbiamo farlo: si dovranno creare, sviluppare e realizzare dei progetti destinati a più fasce di utenti: i bambini li andiamo a prendere a scuola, e i nonni li accompagniamo a casa… Ne siamo capaci, e in questi anni lo abbiamo già dimostrato. I brillanti risultati prodotti da progetti come Ruote Sicure o Patente Plus sono solo alcuni degli esempi che, uniti e ben coordinati, possiamo tranquillamente rivolgere a diverse fasce di età. E perché non sforzarsi di ideare un’accattivante programma di aggiornamento costante rivolto agli automobilisti più stagionati? Ma ci rendiamo conto che nel 2025 in India il 42% degli abitanti avrà meno di 24 anni, contro il 22% di un Paese europeo? E che se confrontiamo l’entità numerica dei gruppi d’età tra i 0 e 4 anni e tra i 29 e 34 anni, il primo è circa la metà del secondo? È ora di allargare i nostri orizzonti e fare di necessità virtù.
tratto dal Tergicristallo